Rocky Horror Station (la stazione della paura)

Semplicemente, capita. Capita che devi andare a prendere tua moglie alla stazione, e che quella sia una serata di tempesta stile film horror per adolescenti degli anni 80: pioggia violenta, fulmini, black-out dei lampioni lungo tutto il tragitto casa-stazione. Il che, già di suo, sarebbe una rottura di scatole non indifferente. Va aggiunto allora che la stazione del posto in cui vivi è un'enorme struttura in mezzo al nulla, con spazi vastissimi e vuoti, bagnati da luci giallo spento da 2 watt l'una. Una stazione gigantesca in cui arrivano un paio di treni in tutto, quando va bene. Non una cattedrale nel deserto, di più. Allora parcheggi, e affronti il vuoto di quello che sarebbe perfetto, come set, per un film di Romero. Roba che non devi spendere nemmeno due euro di scenografie, che va proprio bene così. E nell'ingannare il tempo come si può ingannare in una stazione vuota e deserta, cioè facendo cose inutili come leggere due volte l'orario (tremendamente esile) degli arrivi, ti accorgi che la stazione, in fondo, non è esattamente deserta. Che in un angolo si posa l'occhio vigile di due sinistri sbirri della Polfer, parenti prossimi dei cattivissimi tutori dell'ordine del "THX1138/L'uomo che fuggì dal futuro" di Lucas. Che da un'altra parte, a qualche centinaio di metri di distanza da te, un paio di vecchietti, di quelli che formano la fauna minima di una stazione, camminano sui talloni, le mani stese lungo i fianchi, l'andatura ciondolante. Ecco - pensi mentre un fulmine illumina a giorno il gioviale scenario - per farci un nuovo film, Romero c'avrebbe pure già le comparse.

In foto: zombie, quantomeno, non ce n'erano. Almeno fino a quando siete andati via voi.

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